Glenn Gould, uno come noi, con l’abito pieno di peli di cane

di Stefania Piazzo – Sono più fantascientifiche Guerre Stellari o è più fantascientifico il genio del piano che suonava sul palco pieno di peli del suo cane, Glenn Gould, le cui registrazioni viaggiano nello spazio interstellare sulla navicella Voyager?
Noi, che viviamo uscendo di casa sempre pieni di peli dei nostri animali, oggi abbiamo finalmente un “eroe” che ci protegge dalla tentazione della perfezione estetica senza l’impronta di chi amiamo.

È Glenn Gould, il genio del pianoforte, l’uomo che lasciò metà della sua eredita alla lotta contro la vivisezione, l’artista che preferiva la compagnia del suo setter a quella di tanti altri, al punto da distrarsi sul palco durante un concerto!

Chi ama l’arte è etico e chi è etico ama anche gli animali. Senz’altro un musicista spropositato come Gould, il genio che adorava i cani, i pesci e tutte le specie viventi, manifesta meglio di qualunque altra figura del ‘900, l’espressione di questa fusione: l’amore per il bello ha un’essenza animale, profonda, primitiva nell’istinto nel suo presentarsi davanti a noi.

Glenn Gould, per chi non lo conoscesse, è l’arte della fuga e del piano. Le variazioni Goldberg di Bach sono il suo capolavoro.

Gould “parla”, geme, respira, ansima, fa sentire il trasporto della fatica di suonare come nessuno prima. Il pianista unisce i suoni e i rumori bestiali della vita con la musica.
Separato “in casa” rispetto alla vita mondana, era legato al suo seggiolino da piano, che lo accompagnò per tutta la vita, tanto quanto al suo amore viscerale per gli animali.

Viene ripreso di più nelle immagini ufficiali con il suo cane Nick appoggiato con le zampe sui tasti del piano o al suo fianco, che non con gli esseri umani. Ci sono lui e i suoi Steinway o, unica eccezione, il suo setter. Appunto.

Stravagante, disattento agli abiti, insuperabile nelle esecuzioni, sempre impeccabili nell’abito nero da cerimonia musicale, sentite che scrive l’Einstein del pianoforte a proposito dei peli del suo cane, tanto da perdere il punto in cui era arrivata l’orchestra nella partitura!

“…In quei giorni felici avevo un setter inglese che si chiamava Nick. Ah, com’era bello! Aveva uno stupendo mantello bianco e nero ma perdeva il pelo molte volte l’anno. Lo so, è normale che i cani perdano il pelo, ma Nick non era un cane normale. Quando perdeva il pelo si trovavano lunghi ciuffi di pelo dovunque fosse passato, così come su tutti coloro cui aveva dato la zampa o aveva testimoniato il suo affetto.
Mentre stavo vestendomi per il concerto e mi stavo mettendo il mio più bel vestito scuro, mio padre mi consigliò di tenere a distanza Nick, cosa, naturalmente più facile a dirsi che a farsi. Nick era un animale affettuoso e pieno di attenzioni; non era di quelli che lasciavano partire un amico per una missione importante senza accompagnarlo con i migliori auguri.

Fatto sta che durante il concerto, sulle ultime misure del movimento lento, lanciai per caso un colpo d’occhio verso il pavimento e mi accorsi che le gambe del mio pantalone erano costellate di bianco – una gran quantità di peli di setter offuscava lo splendore immacolato del mio bell’abito da concerto”.

Immaginatevi solo per un momento la scena: una gamba di Glenn Gould era piena di peli, una gamba dei pantaloni era nera, l’altra bianca! Come i tasti del pianoforte…
Glenn fa capire: ma chi se ne frega! Che c’è di male a fare un concerto con i peli, tradendo così un amore senza limiti per gli animali…

Non è forse simile a tanti di noi che escono di casa pieni di tracce viventi dei nostri compagni a quattro zampe? Leggete qui, infatti: “In sé non ci vedevo evidentemente nulla di male, ma, dal momento che questo, dopo tutto, avrebbe sicuramente tradito le scappatelle di Nick, mi sembrò indispensabile farne sparire le tracce prima che i miei genitori venissero a trovarmi dietro le quinte”.

Fosse stato per Glenn, avrebbe lasciato lì le ciocche di pelo, ma avrebbe subito poi le urla della famiglia. Le sentiamo anche noi: “Ma esci così? Non ti spazzi via i peli dalla giacca? Ma non ti vergogni?”.

Ma Glenn trova il momento giusto per “ripulirsi” durante il concerto. Sentite come: “I frequenti “lunghi orchestrali” del Finale mi sembrarono offrire l’occasione ideale per farlo, e mi misi subito al lavoro, inserendo nella mia operazione di ripulitura quei gesti che ogni solista impaziente di riprendere a suonare è solito fare durante il “tutti”. Uno, due o forse tre, – era questo il problema – dei “tutti” principali erano già passati e l’operazione era quasi ultimata; una sola domanda mi assillava: a che punto del concerto eravamo esattamente?”.

Il racconto va avanti ma a noi basta per identificarci in questa sostanziale umanità dell’artista, che non si cura di come ci si debba presentare per etichetta al mondo, anche sul palco di un teatro, sopra l’immacolata fossa dell’orchestra. E arriva persino a perdere il filo del concerto! Luoghi simbolo, sacri, dissacrati dalla naturalezza dell’amore per una relazione: quella con un cane, un animale. Come potergli impedire di amare il suo compagno? Che importa dell’abito più bello, per di più da concerto?!

“Sono sempre andato pazzo per i cani e per ogni specie di animali (tranne l’uomo)”, aveva affermato Glenn.
Aveva avuto anche quattro pesci rossi che chiamò Haydn, Beethoven, Chopin, Bach; un pappagallo che chiamò Mozart. 

Nel suo testamento lasciò metà della sua eredita alla lega antivivisezione. Per un uomo morto nel 1982 e uscito dalla scena nel 1964 per dedicarsi solo alle registrazioni, abbandonando i concerti, è un atto di straordinaria modernità e preveggenza. Vide lontano…

“Senza dubbio il dono artistico e la bontà sono due cose distinte; un uomo buono non è per forza un pittore, e una visione da colorista non implica valore morale. Ma la grande arte attesta l’unione di questi due poteri: essa non è che l’espressione, grazie a un temperamento dotato, di un’anima pura. Se non c’è talento, non c’è arte, e se non c’è anima retta, l’arte è inferiore, per quanto abile”. John Riskin (1819-1900), tratto da una conferenza tradotta da Marcel Proust sul rapporto tra etica ed estetica.
A passarmi questa straordinaria riflessione è Alberto Moioli, direttore editoriale dell’Enciclopedia dell’arte italiana.
Per farla breve, quando regaleremo un cd, o quando più modernamente scaricheremo della musica da internet, scegliamo bene, regaliamoci e regaliamo un cd “vissuto” come i pantaloni di Glenn. Le sue mani hanno fatto inviare nello spazio interstellare sulla navicella Voyager 1 l’oggetto prodotto dall’uomo più distante dalla Terra, un disco con Bach. Il lavoro di un animalista per nulla angosciato dall’imperfezione dei propri abiti. Non è fantascientifico più di Guerre Stellari?

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