Francesco e Teresa, i giganti dello spirito animale

di Stefania Piazzo

Due grandi appassionati testimoni del rispetto animale, su tutti, sono Francesco d’Assisi e Teresa d’Avila. Mentre la nostra società dibatte sulle scelte etiche alimentari, su come custodire e preservare il pianeta, il pensiero non può che correre alla splendida piana di Assisi e a ciò che insegna.

Se pensiamo a Francesco, non possiamo che riassumere in due parole l’eredità del suo cantico delle creature: rapiti ed estasiati. Gli elementi chiave della sua lode erano quattro, le dimensioni terrestri con cui l’uomo deve misurarsi: acqua, terra, fuoco, vento.

E se rileggiamo le sue parole, i concetti ricorenti nel cantico sono la richiesta di perdono, la tribolazione, il sostegno reciproco, i problemi che l’uomo incontra. In altre parole, l’uomo non è padrone di nulla. Tribola e cerca consolazione, cerca relazione. Francesco ammette le debolezze umane, per cercare una via di salvezza. Ammettendo i propri limiti, spiega come poter salvare il mondo: nel rispetto della vita, in tutte le sue manifestazioni.

Perdonare dopo aver distrutto, trovare nuova energia per rinascere, trovare il giusto cibo. Mille anni fa, Francesco aveva già capito quello che noi intravediamo tra pregiudizi, culture, mode, scoperte, rapporti medici, sociologici….

Se non si passa attraverso le proprie debolezze, non si cambia il mondo. Infatti l’errore è uno e uno solo quando non si fa la cosa giusta: sentirsi più forti della natura, più forti di ciò che si mangia, più forti di ciò che viene divelto, più forti e quindi onnipotenti.

L’uomo che può fare quel che vuole credendosi centro dell’universo, più forte di di acqua, terra, fuoco e vento, ha però fallito.

E la terra, coi terremoti, ha insegnato per prima questa lezione, più e più volte. Dalla catastrofe di inizio secolo a Messina passando per il Friuli e l’Irpinia e l’Abruzzo. E per quello che ancora ignoriamo. Cambiano i connotati della geografia ma anche della storia, a riprova che anche i progetti si schiantano contro il sogno di onnipotenza umana.

Accadde in età dei Lumi, il 1° novembre 1755. Fu allora che Lisbona perse 90mila vite, rasa al suolo da un cataclisma che si fece sentire anche in Marocco, nel resto della Spagna e in Portogallo. Non fu solo un terremoto, perché quella data decretò anche la fine di un progetto di espansione coloniale portoghese. La terra cambiò la storia, non fu l’uomo a cambiare la storia. Per Voltaire, col suo “Poema sul disastro di Lisbona” non c’era dubbio che si trattasse di una responsabilità divina, in realtà uno dei quattro elementi tra acqua, terra, fuoco, vento, decisero per tutti.

Ed oggi? La storia si ripete, ce lo ricorda anche Leopardi con la ribellione dignitosa della ginestra che reagisce allo “sterminator Vesevo”, sapendo che prima o poi un’altra ondata di lava arriverà.

Dopo Francesco, a invocare una più saggia visione della vita e un più ampio senso del rispetto verso creato e forme viventi, arrivò 500 anni fa una mistica di proporzioni colossali come Teresa d’Avila.
In un mondo devastato da pestilenze, guerre, attraversata dal mostro inquisitorio… Teresa che fa? Invoca il digiuno dalla carne. Nessun pulpito, solo astinenza dalla carne, come ricorda nel suo “Il Castello Interiore”, andando oltre un sacrificio per alcuni estemporaneo.

Teresa ci lascia scritto che “Per conto mio nutro anzi la convinzione che in ogni minima creatura plasmata da Dio, quand’anche si tratti solo di una formichina, si celano più meraviglie di quanto se ne possano immaginare” (Il Castello Interiore, quarte mansioni, cap. 2, par. 2).

Ragioniamoci sopra…

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