Noi e gli animali: se a perdonarci devono essere loro

di Stefania Piazzo – Il pavimento di maiolica della chiesa monumentale di Anacapri, dedicata a San Michele, più che del paradiso terrestre e della cacciata di Adamo ed Eva, magistralmente dipinta da Leonardo Chiaiese, artista del ‘700 napoletano, è il simbolo del Giubileo degli animali sull’uomo. A prescindere dal credo e da una religione, quel paradiso terrestre che pullula di decine e decine di specie animali in pace tra loro, indifferenti ad un uomo e ad una donna, è il paradigma di un ordine contrapposto ad un “disordine”, è la metafora del male che l’uomo, e solo l’uomo, sa combinare distruggendo equilibri e natura, senza mai saper chiedere scusa e senza chiedere perdono. Tanto che, gli animali del paradiso terrestre, non si curano del genere umano, lo lasciano al suo destino.

Eppure, ne abbiamo di reati/peccati da farci perdonare dagli animali all’arrivo di un giudizio, il loro su di noi, su come gli abbiamo amati, rispettati, difesi.

Forte fortissima si presenta davanti l’immagine di Axel Munte medico svedese trasferitosi sull’area della vecchia villa di Tiberio proprio ad Anacapri, non prima di aver curato gli uomini dal colera e gli animali dall’abbandono, e raccolto ruderi di storia. Fece rinascere la cima dell’isola, facendone pure un luogo di accoglienza per cani e il primo centro di appoggio per uccelli migratori in Italia e forse in Europa.

Singolare l’amore per l’arte e per gli animali, quasi a dire che la bellezza è in questo riconoscersi.

Un pastore lappone, raccontando la vita del suo popolo ad Axel Munte, prima che si trasferisse a Napoli, gli aveva fatto una confessione. Gli aveva spiegato che non ci sarebbero stati né giubilei né sconti per gli uomini, dalle sue parti.

“I cani persero il dono della parola quando questa fu data all’uomo, ma possono capire ogni cosa che si dica loro – spiegava il lappone allo svedese -. Nei tempi passati tutti gli animali parlavano, e i fiori, gli alberi, le pietre e tutte le cose inanimate erano state create dallo stesso Dio che aveva creato l’uomo, il quale doveva essere gentile con gli animali e trattare le cose inanimate come se sentissero e capissero”.

Ma ecco lo straordinario passaggio chiave: “Il giorno del Giudizio, gli animali sarebbero chiamati primi da Dio per testimoniare sull’uomo morto. Solamente dopo che gli animali si fossero pronunciati, sarebbero chiamati a testimoniare i suoi simili”.

L’uomo può sperare in amnistie e indulti terreni, in perdoni giubilari, ma è anche il giudizio e il giubileo dove decidono gli animali che devono temere. Perché la purezza della loro parola e della loro testimonianza, senza peccati originali o meno da scontare, è quella la sola che liberi da miseria, (morale), emarginazione (esclusione sociale), sofferenza (culturale).

Non dimentichiamo mai per questo di giubilare, e chiedere scusa, prima, con loro.

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