Storia di Mela Magnani, la mia gatta disabile

di Stefania Piazzo – Lei è Mela, Mela Magnani. Ha due nomi, la mia gatta. Mela perché in giardino piantai anni fa un melo, in memoria del mio primo cane adottato, Vasco. E Magnani perché… lei arriva dal Lazio, da Fiumicino, che non è lontano da Roma. La mia gatta romanofila quindi porta anche il nome della splendida attrice che amava i felini domestici.

La sua storia è semplice. E’ rimasta incastrata in un passo carraio. Ha perso l’uso degli arti posteriori. Trovata da una passante, era stata affidata ad una volontaria di un vicino gattile. Che, però, non se l’era sentita di portarla subito in rifugio. E così, restò a casa sua qualche settimana.

Io avevo perso una gattina di pochi mesi, arrivata da una colonia di Alba Adriatica, per un male fulminante. Ma potevo dare una possibilità ad un altro animale ancora senza famiglia. E così, alla fine di un caldissimo maggio, lei arrivò con una staffetta in Stazione Centrale a Milano. L’avevo cercata tra le associazioni che in particolare si occupano di animali con disabilità. Sono soggetti che non “vanno via come il pane” e avendo avuto già esperienza di animali portatori d’handicap, decisi che se c’era spazio a casa per un cane con due zampe, a maggior ragione poteva essercene altrettanto se non di più per un gatto bipede.

La Magnani ha sempre avuto la coda senza più sensibilità. La frattura della colonna aveva leso anche la sua imponente e pomposa coda. Nel tempo, però, vuoi la postura, vuoi il fatto che fosse una coda inanimata, tutte le vertebre iniziarono a spostarsi, fino ad accostare tutta la schiena, appoggiandosi e scendendo via via…

Quella presenza iniziò a diventare ostile, estranea. Dunque da eliminare. E così, come spesso capita per gli animali disabili, arriva qualcosa di simile alla sindrome dell’arto fantasma. E l’automutilazione è un passaggio quasi prevedibile.

Un giorno rientrando a casa trovai la cauda, la parte terminale, pulita come si pulisce un osso di pollo spolpato. Si era strappata un pezzo di coda. Iniziò il lungo via vai casa-veterinario. Ogni tanto un altro pezzettino… E via di punti e bende. La storia è andata avanti un anno. Per un lungo anno, la Magnani ha convissuto con tutte le possibili terapie farmacologiche, il bisturi e l’immancabile collare elisabettiano.

Il collare per dormire, per mangiare, per bere, per andare in giardino, per chiedere coccole, per giocare. Si era trasformata nel gatto col collare. Mai un lamento, mai una ribellione, mai depressa.

Poi, la svolta. L’intervento chirurgico risolutivo, con l’asportazione della coda, ma lasciando ancora qualche vertebra. Dopo un anno di carrelli della spesa con garze, farmaci e cicatrizzanti, iniziò la sua terza vita.

Oggi è una Magnani felice, gratta la porta per annunciarsi, oppure accenna un “gne gne” come dovesse starnutire per chiedere di salire sul letto. Lo sa fare da sola, ma vuoi mettere la comodità di una mamma ascensore?

Resto ammaliata, come tutti i proprietari di gatti, quando mi fissa tra l’adorante e lo spiritato. Non so cosa veda in me. Io in lei vedo tutto. Mio padre mi disse infatti un giorno, rapito anche lui dalla sua discreta presenza: “Lei ti dà tutto quello che ha”. Io mi sforzo di fare altrettanto ma lei vince sempre.

(Visited 50 times, 1 visits today)

Leave A Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *