Avv. Portoghese: Occasione sprecata sulla tv pubblica per parlare in modo competente di animali

di Stefania Piazzo – L’avvocato Filippo Portoghese ha ben utilizzato in questi giorni i social per proporre una riflessione su come i media sappiano semplificare, banalizzando, il tema della relazione uomo-cane. Filippo, che ben conosco e che spesso rapisco per averlo ospite ad Antenna 3 nella trasmissione Lo Zoo che conduco assieme all’avv. Claudia Taccani, è un pilastro giuridico nel rappresentare l’evoluzione appunto della giurisprudenza in tema di diritti animali. Fa parte della Commissione istituita dall’Ordine degli avvocati di Milano per il diritto degli esseri animali.

Non gli è sfuggito uno speciale sulla tv pubblica dedicato all’approfondimento della materia declinato al rapporto col cane. Qui di seguito il suo commento. Lo facciamo nostro, perché anche il giornalismo ha il dovere di informare, informandosi. Non si può essere esperti di tutto, toccando solo la superficie dell’acqua. E’ necessario, e qui lo scrivo da iscritta a mia volta ad un ordine professionale, che l’aggiornamento riguardi anche questi aspetti della società. Viviamo in mezzo a 18 milioni di animali domestici. Questo non dà a nessuno la patente di educatori ed espertoni. Non basta la “sensibilità”, occorre la competenza. Cos’è un patentino? Quali sono le leggi che incardinano i diritti degli animali oggi? I corsi di aggiornamento ci insegnano a smanettare sui nuovi media, ma non basta essere digitali per pensare di avere padronanza di temi così specifici e sensibili. Gli animali sono senzienti, appunto. Noi, giornalisti, scriviamo da senzienti?

di Filippo Portoghese – Ennesima occasione sprecata LO SPECIALE TG1: IL MIO AMICO UMANO (…) su Rai1 è andato in onda uno speciale dal titolo “Il mio amico umano”. Un viaggio, si legge nel comunicato stampa di presentazione, “nell’universo dei cani, per capire come la pandemia abbia cambiato il rapporto tra le persone e gli animali, e come la tecnologia stia trasformando tutto quello che ci circonda, a partire dal legame con quelli che spesso si rivelano i nostri migliori amici. Se da un lato è aumentata moltissimo la sensibilità nei confronti degli animali domestici, dall’altra la pandemia ha portato a un boom di abbandoni. Eppure, un cane è un antidoto formidabile contro la solitudine, e per chi vive una malattia può anche essere terapeutico”.

Un viaggio, invero, che non è mai iniziato. E le cui premesse erano, e si sono poi rivelate tali, contraddittorie e imbarazzanti. Contraddittorie perché non si capisce come possa essere aumentata la sensibilità nei confronti degli animali (in questo caso cani) a fronte di un numero ancora impressionante di sciagurati e vili abbandoni, giustificati in parte dalla fine della pandemia ma, purtroppo, espressione di una ancora pericolosa ignoranza propria di quel ritenuto amico umano. Imbarazzanti perché affermare che un cane è un antidoto formidabile contro la solitudine e, per chi vive una malattia può anche essere terapeutico, disvela come la matrice antropocentrica che permea la nostra società sia ancora integra.

Ci scandalizziamo per la definizione giuridica dell’animale quale “cosa” ma ancora in troppe occasioni ci relazioniamo a quello come se fosse una cosa. Lo scrittore Cognetti ha riassunto tale concetto sottolineando come sia davvero ancora imbarazzante la prepotenza dell’uomo, elettosi a padrone del mondo. Ma veniamo allo speciale, che tutto è stato tranne che speciale.Sono stati proposti stralci di interviste a professionisti del settore (medici veterinari, volontari) e personaggi noti (Dacia Maraini e Paolo Cognetti appunto) che avevano ad oggetto argomenti molto importanti ma purtroppo solo accennati, abbozzati. Non per colpa degli intervistati, sia chiaro, ma per la scelta degli autori di proporre queste interviste.

Discorsi troncati e montati tra immagini accattivanti. Che distoglievano dai temi non banali che invece avrebbero meritato ascolto. Perché importanti. Mi riferisco al problema dei cani impegnativi e in quanto tali abbandonati nei canili o che vi sono finiti per brutte storie che hanno coinvolto i loro compagni umani (che in non molti casi sono stati tutto tranne che compagni). Mi riferisco alla continua richiesta di cessione di cani precedentemente accolti (uso un eufemismo) ma poi, complice anche la fine della pandemia ma non solo, di fatto abbandonati. Si è voluto toccare anche il tema del lutto per la morte dell’animale d’affezione ma non è stato detto che ancora oggi chi lo subisce per colpa o dolo di altri potrebbe non avere diritto ad alcuna risarcita sofferenza.

Si è voluto toccare finanche il tema dell’importanza del rapporto tra detenuti e animali, un rapporto che riporta alla nota vicenda dell’Isola di Gorgona. Neanche accennata. Ovviamente non è stato sottolineato come esempi illuminati di rieducazione in carcere con il coinvolgimento di animali siano stati inspiegabilmente smantellati dalle istituzioni (il riferimento è al carcere di Bollate, dove non ci sono più i cavalli).E invece è stato raccontato che oggi centri benessere e asili per cani sono servizi essenziali anche se non ho capito essenziali per chi e soprattutto a chi. Che avere un cane al proprio fianco ci rende migliori. Che il mondo o l’industria che ruota attorno alla cinofilia è una miniera d’oro. Che esiste un’ app dove si possono agevolare incontri tra razze finalizzati all’accoppiamento.

Che oggi i cani interagiscono in modo importante con noi e vi è una aumentata sensibilità verso di loro. I fatturati di alcuni settori industriali, come detto, lo dimostrano. Ma a tanto non sono convinto corrisponda quella richiamata sensibilità verso gli animali e soprattutto per il loro benessere. A condizione di metterci d’accordo su quale sia la ritenuta sensibilità e quale sia il riconosciuto benessere. Se quello di quei settori industriali prima richiamati o delle migliaia di euro incassati per avere venduto un particolare tipo di cane che molto probabilmente trascorrerà la sua (a volte breve vita) all’interno di uno studio veterinario.

L’effetto di uno speciale come quello andato in onda ieri sera potrebbe essere quello di una corsa a trovare “un nuovo amico umano”, acquistandolo (magari cliccando su quale improponibile sito) o andandolo a scegliere (di solito molto giovane) in uno dei tanti stacolmi canili. Ma le corse ad un certo punto inevitabilmente terminano. Condividere un tratto della nostra vita con un cane è un’esperienza meravigliosa, se vissuta con senso di responsabilità. Se mancasse, i danni, spesso irreversibili, potrebbero essere immensi. Verso di loro, gli animali. Verso di noi, loro “amici umani”.

E allora non corriamo. Andiamoci piano verso quei canili. Dopo avere riflettuto, e tanto. Perché, come diceva qualcuno, un cane non è come il latte, non scade mai. Dura per tutta la vita.

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