Quella della riduzione della tassazione sui pet è una battaglia che dura da più di un decennio e che ha visto schierarsi insieme il mondo veterinario, le associazioni animaliste e anche parte del Parlamento. E’ una battaglia di civiltà perché la cura degli animali non può essere considerata un lusso, avere un animale non può essere punitivo per il fisco.

LA LEVA FISCALE DEL 10% – Il 13 ottobre 2022 uno dei primi atti depositati alla Camera è stato quello dell’on. Michela Vittoria Brambilla che ha presentato, oltre alla richiesta di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per prestazioni veterinarie, anche una proposta di legge per la revisione dell’aliquota IVA relativa ai prodotti per l’alimentazione degli animali da compagnia.

UN COSTO SOCIALE – Sia il cibo per i pet che le cure, le prestazioni veterinarie, sono tassati come fossero beni e servizi di lusso. E non lo sono, ovviamente. La richiesta, corale, è che si passi dall’aliquota IVA ordinaria del 22% a quella ridotta del 10%.
La revisione ridurrebbe la disparità di trattamento rispetto ai cittadini di altri Paesi europei. Si pensi solo che in Germania i petmate sugli alimenti per cani e gatti hanno una aliquota IVA del 7%.

PAGHIAMO TRE VOLTE LA GERMANIA – Le famiglie italiane sborsano in tasse 3 volte di più rispetto alle famiglie tedesche nonostante i pet siano a tutti gli effetti parte del nostro welfare.
Le associazioni animaliste propongono anche l’esenzione delle prestazioni per la prevenzione del randagismo e delle patologie trasmissibili (compresa l’identificazione e l’iscrizione di cani e gatti nell’anagrafe degli animali d’affezione, la sterilizzazione dei cani e gatti di proprietà e le vaccinazioni), oltre che innalzare la quota di detrazione delle spese veterinarie nella dichiarazione dei redditi, anche per incentivare le adozioni nei canili/gattili e contrastare abbandoni e randagismo.