Rispettiamo i parchi, siamo in troppi…

Negli ultimi decenni il territorio alpino e’ molto cambiato: l’abbandono delle pratiche di agricoltura e pastorizia, in molte aree, ha consentito una rigenerazione naturale delle foreste e molte specie di mammiferi hanno ritrovato nel bosco il loro habitat naturale. Al contempo pero’, la frequentazione turistica di queste aree e’ aumentata, entrata in gran parte dei paesi ad alto reddito del mondo, creando un potenziale disturbo per gli animali selvatici. Le aree naturali sono diventate destinazioni popolari per le attivita’ ricreative all’aria aperta svolgendo un ruolo cruciale nel ricollegare le persone al mondo naturale in una societa’ sempre piu’ urbanizzata. Tuttavia, mentre la domanda di turismo naturalistico continua ad aumentare a livello globale, cresce anche la preoccupazione per i possibili effetti collaterali sulla biodiversita’ e in particolare sulla fauna selvatica. 

Come rispondono gli animali selvatici a questa crescente presenza di esseri umani nei loro habitat? Ci sono effetti negativi nel lungo periodo? La ricerca del MUSE – Museo delle Scienze di Trento e dell’Universita’ di Firenze pubblicata sulla prestigiosa rivista di sostenibilita’ ambientale Ambio fa luce su questo tema, dimostrando inoltre come un’attivita’ di monitoraggio scientifico standardizzato sia fondamentale per misurare la sostenibilita’ ambientale delle attivita’ umane e per raggiungere gli obiettivi di lotta alla crisi della biodiversita’ posti dall’ONU.

“I risultati delle analisi – spiega Marco Salvatori, dottorando dell’Universita’ di Firenze in collaborazione con il MUSE e primo autore dello studio – ci mostra che delle oltre 500 mila foto raccolte in 7 anni di ricerca (dal 2015 al 2022) il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte alle fototrappole e’ stato 7 volte superiore a quello della specie selvatica piu’ comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che e ‘ risultata piu’ raramente fotografata.

Il passaggio delle persone inoltre non differisce fra le foto-trappole presenti all’interno del Parco Naturale Adamello-Brenta e quelle poste al di fuori, dimostrando, come prevedibile, una potenziale pressione anche all’ esibiscono anche una chiara tendenza a evitare di frequentare le zone in cui il passaggio umano e’ piu’ intenso. Anche questo puo’ essere considerato un segnale incoraggiante per la convivenza uomo-fauna selvatica. I risultati dello studio dimostrano quindi come gli animali selvatici mettono in atto tutte le strategie a loro disposizione per minimizzare le probabilita’ di incontro con le persone. Questi comportamenti non sono pero’ “gratuiti” per gli animali , ma costituiscono un potenziale costo in termini di maggiori difficolta’ di movimento, una regolazione non ottimale della temperatura corporea, l’utilizzo di aree meno produttive in termini di risorse alimentari. 

“In conclusione – afferma Francesco Rovero, docente di Ecologia dell’Universita’ di Firenze e coordinatore dello studio – la tendenza a una maggiore notturnalita’ e’ una risposta comportamentale comune a molti mammiferi esposti alla presenza di grandi numeri di persone, come testimoniano anche diverse ricerche a livello internazionale. Se l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani e’ notevole, ora sta anche a noi umani fare attenzione adottando, ad esempio, alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno piu’ delicati per la fauna, una strategia gia’ ampliamente applicata in molte parti del mondo”.

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